L’acqua del lago non è mai dolce

Giulia Caminito, L’acqua del lago non è mai dolce, ed. Bompiani – vincitrice Premio Campiello 2021

Odore di alghe limacciose e sabbia densa, odore di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d’acqua: è il lago di Bracciano, dove approda, in fuga dall’indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla testardaggine che da sola si occupa di un marito disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima, Antonia non scende a compromessi, Antonia crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua unica figlia femmina a contare solo sulla propria capacità di tenere alta la testa. E Gaia impara: a non lamentarsi, a salire ogni giorno su un regionale per andare a scuola, a leggere libri, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo.

La figlia unica

Guadalupe Nettel, La figlia unica, ed. La nuova frontiera

Scritto con una semplicità solo apparente, La figlia unica è la storia di tre donne e dei legami d’amore e d’amicizia che intessono mentre si confrontano con le differenti forme che la famiglia può assumere al giorno d’oggi. Una libro sulla maternità e su cosa significa essere madre.

Laura e Alina si sono conosciute a Parigi quando avevano vent’anni. Ora sono tornate in Messico. Laura ha affittato un piccolo appartamento e sta finendo la tesi di dottorato mentre Alina ha incontrato Aurelio ed è rimasta incinta. Tutto sembra andare per il meglio fino a quando un’ecografia rivela che la bambina ha una malformazione e probabilmente non sopravvivrà al parto. Inizia così per Alina e Aurelio un doloroso e inatteso processo di accettazione. Non sanno ancora che quella bambina riserva loro delle sorprese. È Laura a narrarci i dilemmi della coppia, mentre anche lei riflette sulle incomprensibili logiche dell’amore e sulle strategie che inventiamo per superare le delusioni. E infine c’è Doris, vicina di casa di Laura, madre sola di un figlio adorabile ma impossibile da gestire.

Il treno dei bambini

Viola Ardone, Il treno dei bambini, ed. Einaudi

Negli anni tra il 1946 e il 1952 le condizioni di vita di tantissimi bambini, soprattutto al Sud, erano davvero difficili, molto dure. Ci fu allora un’operazione illuminata, attenta, di grande sensibilità da parte del Partito Comunista Italiano insieme all’Unione Donne Italiane. I bambini dai 4 ai 12 anni poveri, senza genitori, o bambini di strada furono portati per un periodo di alcuni mesi nelle regioni del Centro Nord, in particolare Marche ed Emilia Romagna, affidati ad altre famiglie in modo che potessero superare l’inverno. C’era un alto tasso di mortalità, malattie polmonari, denutrizione, dati impressionanti. Tra questi bambini c’è il piccolo Amerigo, dei Quartieri Spagnoli.

Viola Ardone ha riproposto un tema, quello della solidarietà sociale, che coi vari politici del giorno d’oggi al centro della scena politica italiana, sembra davvero qualcosa di obsoleto e inconcepibile. Un sentimento antico che andrebbe riscoperto, in un momento così buio, in termini sociali, culturali e (appunto) politici.

«Era più facile, un volta. – dice la Ardone – C’era il partito, c’erano le compagne e i compagni del partito. Oggi non ci sta più niente, chi vuole fare qualcosa di buono lo deve fare da solo… Ma non è una cosa politica, non so se mi spiego, è carità. È differente.»

Le prime parti del romanzo, quelle in cui Amerigo è un bambino e racconta in prima persona la sua esperienza, mescolando italiano ed espressioni tipiche napoletane, con lo sguardo innocente e stupito di un bambino, sono sicuramente le più appassionati e riuscite. La parte finale invece, che vede Amerigo ormai adulto e realizzato, sorprende per una sorta di amarezza di fondo, per un “amaro in bocca” e un sottofondo di tristezza, di rimpianto per ciò che poteva essere e non è. Ma è comunque un bel libro, piacevole da leggere e che lascia uno strascico di buoni sentimenti e desiderio di essere oggi, forse, un popolo migliore.

Arrivederci piccole donne

Marcela Serrano, Arrivederci piccole donne, ed. Feltrinelli

Una bella rivisitazione del famoso romanzo “Piccole donne” che probabilmente tutte noi a suo tempo abbiamo letto e sicuramente ricordiamo. Quattro cugine legate dal filo della memoria, costellata di sogni, progetti, paure, speranze, nel Cile degli anni ’70 sconvolto dagli eventi politici. Qua e là rimandi a episodi simili dell’originale, ma poi le storie si dipanano diverse e differenti, ognuna raccontata con la voce della protagonista del momento. Intorno le vicende della famiglia, dei numerosi cugini, dei vicini di casa, degli amori reali o presunti.
Una delle voci letterarie cilene più importanti, la Serrano non delude mai.

Il Colibrì

Ciclo SANDRO VERONESI

Il Colibrì, ed. La nave di Teseo, 2019

Con questo romanzo – ultimo in ordine di tempo – Veronesi ci racconta cosa accade quando un fragile colibrì, cioè Marco Carrera, così soprannominato per la sua piccola statura, deve indossare i panni di un’acquila reale. Alternando continuamente passato e presente, il romanzo ci porta attraverso la vita di quest’uomo, con un corollario di lutti e dolori incredibili. Ai quali il colibrì resiste suo malgrado con tenacia e intelligenza, e con l’aiuto inaspettato – lui che non crede nella psicoanalisi – di un amico psicoterapeuta.
Lo stile di Veronesi è ricco di riferimenti letterari ma anche lieve, garbato, a tratto poetico, e il suo protagonista suscita immediata simpatia, così che ogni pagina del romanzo rimanda a qualcosa di vissuto nella mente del lettore. Impossibile quindi non riconoscersi negli stati d’animo di Marco Carrera, riconoscendo le stesse sue debolezze, gli stessi problematici rapporti famigliari, gli stessi amori irrisolti. Garbato e in punta di piedi anche il finale, in quel desiderio del protagonista di uscire di scena senza troppo rumore, circondato da tutti i suoi affetti, ma sempre da protagonista. Tutt’altro che restando fermo come un colibrì.

 

La forza del passato, ed. Bompiani, 2009
Gianni è uno scrittore di racconti per ragazzi; ha circa 30 anni, una bella moglie, un bambino in salute ed il suo lavoro gli frutta un buon guadagno e notorietà. La sua vita cambia quando viene a scoprire che suo padre, morto da pochi giorni, era una spia russa che per decenni aveva lavorato sotto copertura. Tutto intorno a lui sembra sgretolarsi perché iniziano una serie di disavventure e si scoprono altre verità, ma Gianni avrà la fortuna e la capacità di reagire.
Con uno stile denso e preciso Sandro Veronesi discende insieme a noi negli meandri mentali dell’uomo, in uno dei temi classici della letteratura: chi siamo davvero quando cadono tutte le maschere e gli alibi, come ci trasfigurano gli occhi degli altri e soprattutto l’incomprensibile enigma delle persone che abbiamo accanto tutta la vita. Così come succede al protagonista, dobbiamo arrivare ad accettare l’abisso oscuro che ci portiamo dentro e a capire che si può amare anche così, che si deve amare anche così, doppiamente: amando il conosciuto e l’inconoscibile.

Caos Calmo, ed. Bompiani, 2005
Pietro Paladini è un uomo apparentemente realizzato, con un ottimo lavoro, una donna che lo ama, una figlia di dieci anni. Ma un giorno, mentre salva la vita a una sconosciuta, accade l’imprevedibile, e tutto cambia. Pietro si rifugia nella sua auto, parcheggiata davanti alla scuola della figlia, e per lui comincia l’epoca del risveglio, tanto folle nella premessa quanto produttiva nei risultati. Osservando il mondo dal punto in cui s’è inchiodato, scopre a poco a poco il lato oscuro degli altri, di quei capi, di quei colleghi, di quei parenti e di tutti quegli sconosciuti che accorrono a lui e soccombono davanti alla sua incomprensibile calma. Così la sua storia si fa immensa, e li contiene tutti, li ispira fino a un finale inaudito eppure del tutto naturale.

Terre rare, ed. Bompiani, 2015
Nel giro di ventiquattro ore un uomo perde il controllo della propria vita: fa un grave errore sul lavoro, gli viene sequestrata la patente, trova l’ufficio sigillato dalla Finanza, scopre che il suo socio è fuggito lasciandolo nei guai, rompe definitivamente con la sua compagna – e nel frattempo sua figlia è scappata da casa. Credendosi braccato, fugge a sua volta, alla cieca, ma lo sfacelo cui si è di colpo ridotta la sua vita, man mano che egli lo affronta, si rivela sempre più chiaramente un approdo, fatale e familiare – secondo una mappa interiore che era stata tenacemente rimossa.
Quest’uomo è Pietro Paladini, l’eroe immobile di Caos calmo, che nove anni dopo ritroviamo nella situazione opposta, roso dall’ansia e senza più un posto dove stare, costretto a vagare alla ricerca di quella pace improvvisamente perduta, o meglio – e questa sarà la sua scoperta – mai veramente avuta.

Un attimo prima

Fabio Deotto, Un attimo prima,  ed. Einaudi, 2017

La crisi che ha investito l’Occidente è giunta alle sue estreme conseguenze e il mondo vive un difficile periodo di transizione, in cui il lavoro ha perso la sua centralità. In questo contesto l’ex biologo Edoardo Faschi, ossessionato dalla morte del fratello Alessio avvenuta vent’anni prima, si sottopone a un trattamento psicologico sperimentale ispirato alla scatola specchio di Ramachandran – un dispositivo utilizzato per curare la sindrome dell’arto fantasma nei pazienti mutilati – che promette di aiutarlo a elaborare la perdita. Nel corso della terapia ripercorrerà le vicende della sua famiglia fino ad arrivare agli anni in cui Alessio è diventato un esponente di spicco del Movimento Occupy. Cosí facendo getta un nuovo sguardo sulla storia tormentata di questo inizio millennio, fornendone un’interpretazione a tratti drammatica, a tratti ironica, sempre convincente. Come altri coetanei, Edoardo rischia di perdersi in una sterile contemplazione del passato, ma la ricomparsa improvvisa del figlio di Alessio, Sealth, di cui aveva perso le tracce, lo costringerà a scuotersi e a compiere una scelta. In nessun modo il destino deve ripetersi.

Eleanor Oliphant sta benissimo

Mi chiamo Eleanor Oliphant e sto bene, anzi: sto benissimo.
Non bado agli altri. So che spesso mi fissano, sussurrano, girano la testa quando passo. Forse è perché io dico sempre quello che penso. Ma io sorrido. Ho quasi trent’anni e da nove lavoro nello stesso ufficio. In pausa pranzo faccio le parole crociate. Poi torno a casa e mi prendo cura di Polly, la mia piantina: lei ha bisogno di me, e io non ho bisogno di nient’altro. Perché da sola sto bene.
Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata di mia madre. Mi chiama dalla prigione. Dopo averla sentita, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto.
E se me lo chiedete, infatti, io sto bene. Anzi, benissimo.
O così credevo, fino a oggi.

Inizia così questo sorprendente romanzo d’esordio di Gail Honeyman. Vero e proprio caso editoriale, definito dall’Observer “esordio dell’anno”, con un successo di vendite inprevedibile e che sta facendo molto parlare di sé.
Io ci sono capitata per caso, girando in un supermercato italiano dove su uno scaffale si vendevano anche libri non ho potuto fare a meno – come sempre faccio di fronte ai libri – di fermarmi a curiosare. Questo mi ha attratto, non so perché, forse la copertina, forse quel nome della protagonista che in qualche modo mi richiamava un elefante e che mi è sembrato buffo, o forse semplicemente perché la vita è così, a volte ti presenta qualcosa di inaspettato ma che a posteriori capisci che ti doveva arrivare.

La protagonista di questo romanzo è una donna non più giovanissima, una donna come chiunque di noi. E’ sola, ha un lavoro, un’appartamento, una piantina di cui si prende cura come fosse un essere umano o un animale, e una madre scomoda che la chiama una volta a settimana. Dice di sé di stare bene, anzi benissimo, ma come chiunque mastichi un po’ di psicologia sa, queste affermazioni spesso nascondono proprio il contrario di quanto affermano.
Se pensate però che questo sia un romanzo “psicologico” o anche solo di “crescita personale” come potrebbe sembrare, non fatevi trarre in inganno, perché Gail Honeyman ha saputo inserire dei colpi di scena inaspettati, e soprattutto un finale imprevedibile e molto umano e vero, e che fa della protagonista una nostra amica, unica e soprendente, quell’amica che ci dice sempre tutto quello che pensa e di cui non possiamo fare a meno. Leggetelo, merita.

 

Eleanor Oliphant sta benissimo, Gail Honeyman, ed. Garzanti, 2017

Addio fantasmi

Ida sbarca a Messina, la sua città natale, chiamata dalla madre che deve ristrutturare la casa di famiglia prima di metterlo in vendita. Circondata dagli oggetti di sempre deve scegliere cosa tenere e cosa buttare, e questo la porta a fare i conti con il trauma che l’ha segnata da ragazzina: la scomparsa del padre. Che non è morto, perché non è morto chi non ha avuto sepoltura. Ventitre anni prima il padre, malato di depressione, è semplicemente uscito di casa ed è scomparso nel nulla. Sulla mancanza di questo padre si sono incagliati i silenzi e le incompresioni con la madre, il senso di un’identità anomala, perfino il rapporto con il marito lasciato a Roma, salvezza e naufragio insieme. Ora che la casa d’infanzia la assedia con i suoi fantasmi, Ida deve trovare un modo per spezzare il sortilegio e far uscire il padre di scena.
Nadia Terranova racconta qui l’ossessione per la perdita, un corpo a corpo con il nostro passato che ci rende tutti sopravvissuti, ciascuno nella propria battaglia.

 

Addio fantasmi, Nadia Terranova, ed. Einaudi, 2018

Carnaio

Giovanni Ventimiglia è un pescatore, da tutta la vita raccoglie nelle sue reti acciughe e granchi, anche se negli ultimi anni il mare è diventato avaro e sulla sua piccola nave non ha più un equipaggio. Il pesce lo vende nel mercato di DF, un paesino aggrappato alla costa come tanti, con un parroco che fa la predica ma va a puttane, un sindaco che è padre di sindaco, un’emittente locale che scalda i cuori delle casalinghe con il suo conduttore brizzolato. Ma un giorno di marzo Giovanni attraccando al pontile trova un cadavere, un uomo che in ammollo dev’essere stato per giorni, un ragazzo non di quelle parti, forse dell’Est o del Sud, uno di colore comunque. E dopo di lui, i ritrovamenti di cadaveri sbiaditi dall’acqua, tutti giovani, tutti neri si susseguono, senza che le autorità locali riescano a trovare un filo, cumuli di cadaveri da seppellire, identificare, gestire. E da DF chiedono aiuto, ma da Roma prendono tempo, impongono accertamenti, tanto che, per non venire sommersi, i cittadini saranno costretti a escogitare un sistema per affrontare l’emergenza, e poi nel tempo trasformarla in profitto.

Questa la trama in breve. Con uno sguardo che ricorda Saramago e Bolaño, Carnaio è un incubo di carne e soldi, la profezia di un mondo prossimo, in cui l’ultimo passo verso l’abisso è già alle nostre spalle. Riflette il rapporto tra “noi” e “loro”, tra noi cittadini occidentali figli del benessere, e i fuggitivi, gli immigrati, i richiedenti l’asilo del resto del mondo. Quel mondo vittima di guerre e soprusi, dittature e fondamentalismi. Disperati che giungono fra noi alla ricerca di una vita migliore.

Giulio Cavalli sa rendere tutto l’orrore di quesi viaggi, di queste vittime, ma con l’ironia grottesca e inquietante di un paese che riesce a sfruttare economicamente anche le tragedie.

 

Carnaio, Giulio Cavalli, ed. Fandango, 2018

 

Madrigale senza suono

Vincitore del premio Strega 2019. Mi aveva attratto perché parlava di musica… inizialmente ho faticato molto, non riuscivo ad “entrare” nella storia, ma poi piano piano mi ha catturato e alla fine devo dire che mi è piaciuto.

E’ la storia di Carlo Gesualdo da Venosa, principe madrigalista vissuto fra il ‘500 e il ‘600, uomo tormentato e tendenzialmente depresso, raccontata da Igor Strawinsky. Il grande musicista in un suo viaggio a Roma ritrova un libro, una sorta di diario dove si raccontata la storia di Gesualdo, del terribile delitto del quale si macchia ma anche della sua genialità in campo musicale.

Un romanzo cupo, barocco, che alterna la modernità della vita di Strawinsky attraverso le lettere che scrive ad un suo corrispondente, al passato della vita di Gesualdo facendoci piombare in pieno medioevo. Anche la voce narrante del periodo medievale è esterna, è un nano amico-servo-alter-ego di Gesualdo che racconta le vicende della storia. A momento i due personaggi si alternano, in altri si compenetrano al punto che non si è più sicuri di chi sia chi, o se questo nano sia reale e non la mente distorta di Gesualdo stesso, la sua coscienza che parla per sé.

Romanzo molto ambizioso quindi, che poteva forse essere raccontato meglio, in modo più succinto e un po’ meno “barocco”.

 

Madrigale senza suono, Andrea Tarabbia, ed. Bollati Boringhieri, 2019